Ci sono amori che sbocciano in ritardo, dopo che per anni ti sei guardato senza capire oppure senza proprio pensare minimamente potesse essere non dico un amore ma neanche una storia veloce. Quando sentivo i pezzi dei Crowded House negli anni ottanta mi pareva roba per vecchi, o al massimo buona per la tv o un film romantico. Non ne comprendevo certo la delicatezza e la raffinatezza, non percepivo le sfumature insomma. Poi nel 2000 vado a vedere i Pearl Jam all’Arena di Verona e come bis mi suonano un brano che io conoscevo ma lì per lì non capivo quale fosse. L’avevo già sentita tante volte quella canzone e mi piaceva pure molto ma di chi era? Certo non dei Pearl Jam anche se la stavano suonando e pure molto bene. Col testo saldo in mente torno a casa e cerco in rete e scopro che si trattava di “I Got You” degli Split Enz. Inizia una sorta di passione morbosa per quel brano, per quel sound, per quella cosa che mi suona power pop chiaramente ma in cui sento molto altro: kinks, new wave, costello… Ma l’amore a volta sembra amore e invece è solo una storia di sesso e infatti così parve essere con gli Split Enz per me, anche perché di fatto ero innamorato solo di quel brano e altri non ne conoscevo. No, un attimo, in realtà ne conoscevo un altro, era “History Never Repeats” ma poi basta, finiva lì. Due pezzoni da paura e la vita va avanti. Com’è e come non è, arriva l’isolamento causa covid e girando a caso su youtube mi imbatto in un documentario proprio sugli Split Enz e…boom! Il colpo di fulmine postumo! Scopro una band pazzesca, che mi pare molto ma molto simile per tante cose ad un’altra delle mie band favorite di ogni tempo: gli XTC. I motivi sono così tanti che ad elencarli vien fuori una lista della spesa più che una serie di apprezzamenti. Vengono da un posto che col pop rock ha ben poco da spartire (della Nuova Zelanda si pensa ai Kiwi e alle pecore e a poco altro), hanno un’immagine particolarissima e giocata su un travestimento mai fine a se stesso ma misto di vaudeville, circo e glam (ideazione di Noel Crombie che nel gruppo ha suonato i cucchiai e la batteria e anche niente ma ne era parte imprescindibile), fondono un certo pop obliquo a momenti quasi prog con costante presenza di quel beat new wave che giusto gente come Elvis Costello o gli XTC portava avanti in quegli anni, hanno canzoni talmente belle ma talmente originali che il fatto che qualcuna sia diventata un hit ha del miracoloso. Poi c’è la storia della band e dei cambi di formazione e di come i fratelli Tim e Neil Finn abbiano interagito passandosi poi di fatto il testimone di leader. Split Enz era il gruppo di Tim, ma negli ultimi 5 album Neil è stato quello che ha composto i brani migliori, quelli poi non a caso diventati più famosi. Però Tim rimane unico, nel suo essere talmente originale che piuttosto che spiegarvi come compone faccio prima a dirvi “ascoltatelo!”. Poi ci sono gli altri musicisti e il loro rapporto con gli Split Enz. E qui torno all’inizio e ai Pearl Jam. Eddie Vedder ha detto più volte che quando era adolescente i kiwi (si chiamano così i cittadini neo zelandesi e non stiamo parlando del frutto ora) erano la sua band preferita in assoluto e tra concerti col suo gruppo e sortite da solista, Eddie ha suonato tantissimi pezzi degli Enz (e anche di Neil Finn sponda Crowded House). Ma mica è l’unico. Un tale Paul Mc.Cartney disse una volta che secondo lui Neil Finn è il miglior compositore vivente e scusate se è poco. Poi ci sono i concerti e i progetti “Neil Finn and Friends” con gente del calibro di Ed O’Brian, Lisa Germano, Johnny Marr, Jeff Tweedy e anche qui c’è poco da aggiungere. A questo punto se li conoscete non serve dica altro, in fin dei conti vi ho raccontato un amore. Ma se invece siete ignari di cotanta beltà allora lasciate vi suggerisca qualche ascolto. I primi due dischi sono una delle cose più bizzarre possiate immaginare nei per altro già molto bizzarri anni settanta. Il primo è del 75 e si chiama “Mental Notes” e pare una versione dandy di cose tipo Genesis o Gentle Giant. L’anno dopo esce “Second Thoughts” che è quasi una riedizione del primo album, però stavolta registrato in Inghilterra, prodotto da Phil Manzanera (qualcuno prima ha scritto dandy?) e con tre brani nuovi. Nel 77, l’anno della rivoluzione, il gruppo svolta verso un art rock molto più al passo coi tempi ma allo stesso tempo inaudito. “Bold As Brass”, “My Mistake” e “Crosswords” sembrano arrivare da Marte eppure sono perfette canzoni pop. Scrive tutto ancora Tim ma nel frattempo il fratellino Neil è entrato nella banda. L’anno dopo esce “Frenzy” che è registrato e prodotto parecchio male ma sforna il super classico “I See Red” ancora di Tim e cercate la versione dei Pearl Jam che ne fanno una roba molto The Who. Il botto arriva nel 1980 con “True Colours”. Suoni levigati, produzione perfetta per garantire ad ogni traccia lo status di possibile hit, scrittura felice e freschissima. È il disco di “I Got You” ma non solo. Io ho un debole assoluto per “Poor Boy”, piccolo capolavoro di Tim Finn. L’anno dopo arriva “Waiata” (maori per “cantare e far casino”) e con esso gemme totali come “One Step Ahead” e “History Never Repeats”, entrambe di Neil. Nel 1982 il capolavoro. Semplicemente uno degli album più belli degli anni 80. Si chiama “Time And Tide” ed è il punto più alto della band di Auckland. Il songwriting è equamente diviso tra i fratelli ed è di livello stratosferico. Il disco si discosta dal power pop precedente e va verso una sorta di pop al quadrato, con più di un inquietudine sotto traccia e qualche sentore prog. Sarà che dietro alla consolle siede quel genio del suono che si chiama Hugh Padgham (insieme a Phil Collins, colui che ha inventato il suono anni ottanta) ma il disco è davvero strepitoso. L’attacco funky di “Dirty Creature” con un giro di basso che fa scuola e il testo di Tim sulle crisi di panico, quella meraviglia di “Giant Heartbet” di Neil che pare addirittura ricordare i migliori Rush, l’irresistibile canzone da marinai dell’amore perduto in “Six Month In A Leaky Boat” e una delle canzoni pop perfette più perfette di sempre di Neil “Take A Walk”. Imperdibile e da avere per forza. Poi da lì inizia la fase calante con “Conflictin Emotions” che esce dopo che Tim ha intrapreso una carriera solista piuttosto di successo (val la pena “Fraction Too Much Friction”). Il disco ha “Message To My Girl” di Neil che dovrebbe essere spiegata nelle scuole tanto è incredibilmente elegante negli accordi e nelle armonie. Dopo di che Tim lascia la sua nave e Neil fa uscire un ultimo disco nel 1984. Fine. Ma anche no. Nel 1986 nascono i Crowded House, creatura australiana di Neil Finn e tutto il mondo imparerà a memoria “Don’t Dream It’s Over”. Però attenzione a liquidarli come sforna successi per adulti. Provate a non emozionarvi con “Better Be Home Soon” e poi ditemi. O a non uscire rinfrancati e felici dopo aver cantato a squarciagola “Weather With You”. L’album “Woodface” del 1991 è per altro scritto quasi tutto a quattro mani col fratello Tim mentre “Together Alone” del 1993 è uno splendido disco di puro artigianato pop. Poi c’è la carriera solista di Neil con quattro album all’attivo finora e tantissime perle come “Wherever You Are”, “Driving Me Mad” o “Chameleon Days”. Fine. Gli amori sono forieri di gelosia, vorresti fossero solo e sempre tuoi e di nessun altro ma santo cielo com’è possibile non dirvi di ascoltare tutto questo? Fatelo e poi ditemi. Fidatevi.
SPLIT ENZ E IL GENIO DI NEIL FINN
