Peter Gabriel oggi compie 70 anni e mi pare impossibile.
Auguri Peter, e grazie.
Per le dieci volte che ti ho visto dal vivo, per avermi insegnato che la ricerca è tutto sia nell’arte che nella vita, per “The Lamb Lies Down On Broadway” ascoltato in cuffia quand’ero ancora bambino, per il salto con la liana a Sanremo, per la palla gigante di “Growing Up”, per “The Musical Box”, per “Passion” che ancora adesso è l’archetipo di ogni immaginabile musica globale, per aver portato Carl Jung in Africa con “Rythm Of The Heat”, per la descrizione da accapponar la pelle di un manicomio in “Lead A Normal Life”, per “Harold The Barrel”, per la tua goffaggine e timidezza che sa poi diventare istrionismo senza rivali, per “Looking For Someone”, per ogni singolo ascolto di “San Jacinto”, per quella volta che provai a rasarmi la testa, per le parole imparate a memoria di “Battle Of Epping Forest” e “Get’em Out By Friday” che da sole han fatto più di anni di lezioni di inglese, per i balletti in “Shakin The Tree”, per “Biko”, per Nusrat Fateh Ali Khan, per i pianti con “Washing Of The Water”, per le ali di pipistrello in “Watcher Of The Skies”, per Youssou N’Dour, per quell’infinito abbraccio con Kate Bush in “Don’t Give Up”, per “Indigo”, per l’umanità estrema, per “Amnesty International” e le tue mille altre battaglie, per “Signal To Noise”, per la gioia irrefrenabile ogni qual volta inizia “In Your Eyes”, per il suono della batteria di Phil Collins in “Intruder”, per David Rhodes e Tony Levin, per la spontaneità, per quando vidi “OVO” al Millenium Dome, per “Here Comes The Flood”, per il video di “Sladgehammer”, per l’immortale melodia di “Carpet Crawl”, per essermi stato vicino come fossi con me ai tempi di “Father, Son”, per “Supper’s Ready”, per la tua voce, per i Genesis, per tutti i tuoi dischi da solo, per ciò che rappresenti per me che son malato di musica anche e forse soprattutto per “colpa” tua.
Tanti auguri.
Ti voglio bene.
Marco.