GLI ANGELI E MICHELANGELI

Arturo Benedetti Michelangeli si siede al pianoforte. Schiena dritta. Le mani e le lunghe dita perpendicolari alla tastiera. Il mignolo grande come l’indice. Tasti che diventano tutt’uno col corpo del pianista. Arturo Benedetti Michelangeli è impassibile, non si muove, a volte accenna appena uno spostamento del baffo, chissà che vorrà dire. Molto probabilmente nulla. Al momento degli applausi saluta, pare sfinito, o scocciato o intimidito, o nessuna delle tre: pare Arturo Benedetti Michelangeli che preferisce gli applausi siano per il compositore e non per gli interpreti e lascia in fretta la scena, senza concedere bis.

Italiano senza età, ottocentesco per specifico musicale e naturale compostezza, moderno per pragmatismo e senso del privato. Beethoven, Chopin, Scarlatti, Debussy, certo, ma anche Mompou, lo Chopin del novecento, che proprio il maestro di Brescia aiutò molto ad essere scoperto come meritava. Si dice che non si sa da dove venga la musica, ci si chiede cosa sia che porta il suono agli uomini, perché essi diventino demiurghi all’improvviso di qualcosa che esiste in sé.

Se cercate la prova dell’esistenza di Dio, la perfezione assoluta, l’incontro di geni toccati dal Divino che producono l’afflato vitale della creazione, c’è una versione del concerto per pianoforte ed orchestra n°5 di Beethoven diretta da Carlo Maria Giulini col maestro Arturo Benedetti Michelangeli al piano, che in questo mondo insensato vi farà entrare per una quarantina di minuti nell’infinito. Il concerto è già di per sé un capolavoro assoluto ma questa interpretazione è di gran lunga la migliore esistente di questa superba opera del Dio di Bonn. Michelangeli è stato il più grande pianista del novecento, e l’Italia l’ha trattato come un cattivo pagatore viene trattato da Equitalia, sequestrandogli i suoi preziosissimi pianoforti per una oscura e discutibile faccenda di fallimento riguardante una sua casa di produzione. Un paese che produce geni ma la cui burocrazia idiota avrebbe sequestrato anche il pennello a Caravaggio. Lui, col suo stile silenzioso e unico, prese atto ma se ne andò in Svizzera, e tornò solo rarissime volte nel suolo patrio ingrato. Ascoltate TUTTO di lui, niente è meno che perfetto, ma se volete un consiglio su come partire nel viaggio dentro al suo mondo, immergetevi in questi 40 minuti di pura perfezione. Il futuro non ha più speranze, ma capire Beethoven, ascoltare questi assoluti inarrivabili interpreti, sentire il senso dell’ispirazione arrivare da Dio, può forse salvare la vita. Di sicuro salva tre quarti d’ora scarsi.

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