Esistono dei grandi spartiacque, dei momenti che dividono la storia in un prima e in un dopo. Il 16 Dicembre 1770 fu l’inizio, solo l’inizio, di uno spartiacque durato 57 anni, un periodo in cui si estende la vita del Titano e in cui il mondo cambia. Beethoven è, tra le mille cose, anche il passaggio dal mondo classico a quello moderno, dall’aristocrazia alla borghesia, dalle corti dei Re alle idee democratiche e comuniste, dalla rivoluzione francese e l’infatuazione per Napoleone fino alla coscienza individualista e romantica. Un’epoca intera, un cambio definitivo. Un cambio che poi percorre anche la sua vita, segnando cambiamenti di stile, di gusto, di personalità, di amori, di posizioni politiche ed intellettuali, e stravolgimenti fisici. Come abbia potuto un sordo completo fare ciò che ha fatto Ludwig Van Beethoven rimarrà per sempre un mistero solo in parte spiegato da concetti concreti che qualunque compositore può corrispondere, perché le vette siderali della sua creazione non hanno paragoni umani, terreni, ma solo presupposti celesti, orizzonti al di là del visibile, del comprensibile.
In Beethoven scorre la storia e lui la plasma su di se, padrone di se stesso e della sua ispirazione debordante. Il senso di liberazione ed il concetto stesso di indipendenza, sprigionamento e affrancazione, è teorema e cardine del tutto. Prima di lui solo Mozart, l’alieno Mozart, quel giovane ribelle il cui genio è ugualmente inspiegabile, solo Mozart aveva provato a diventare artista puro, e non dipendente di corte come tutti. Amadeus cercò il giusto mezzo tra gusto popolare e creazione libera, tra committenza privata e autonomia, soffrendo sempre e comunque e terminando la sua breve ma intensissima vita senza aver risolto le dicotomie ma aprendo comunque la strada al dopo. E quella strada la prese l’uomo di Bonn e ne fece via maestra per ogni generazione futura di artista. Tutto quello che noi diamo per assodato, ovvero che un compositore scriva i suoi lavori mettendoci dentro se stesso, rischiando in base al successo o all’insuccesso, calibrando uscite e stili a seconda di tempi e necessità, bene, tutto questo prima di Beethoven semplicemente non esisteva. C’è la rabbia della disillusione post-napoleonica nell’Eroica, gli slanci romantici come serenate nella sonata 14, la nostalgia dei suoni della natura nella Pastorale, il destino personale infausto nella quinta, la summa del suo pensiero filosofico nella nona. Tutto in Beethoven parla di Beethoven e al tempo stesso descrive un’era e definisce l’era che verrà. Impossibile studiare e quindi capire l’ottocento senza studiare Beethoven. Dagli inizi influenzati da Mozart e dal tardo barocco, fino alla prima maturità (prime due sinfonie) che tanto risentiva dell’ultimo Haydn e poi dopo la terza il diluvio fatto di un incredibile mix di illuminismo, cristianesimo e romanticismo. Ma non ha senso chiudere in etichette il Titano. Nulla può somigliargli e quindi nulla può spiegarlo. Il più grande compositore di ogni tempo e una delle persone più importanti della storia dell’umanità. Alzò il pungo al cielo mentre tuonava quella notte del 26 Marzo 1827 a Vienna, nell’istante esatto in cui spirò. Era un pugno teso al destino, al mondo intero che lui aveva sfidato, col suo carattere difficilissimo, col suo genio inenarrabile, un mondo sbagliato da sempre e per sempre, combattuto con opere di profondità biblica, di significati ancora tutti da comprendere. Più di ogni altro spiegò l’uomo “legno storto” per parafrasare Kant, l’uomo moderno in frantumi che nel novecento sarà contemporaneo ma che già Beethoven aveva conosciuto in se stesso e negli altri e cercato di redimere usando le parole di Schelling per l’inno alla gioia.
Oggi compie 250 anni e siamo ancora qui sgomenti per tante emozioni ogni volta che inizia la marcia funebre dall’eroica o la cavatina dal quartetto 13, che in origine avrebbe dovuto avere la mastodontica “grande fuga” come movimento finale e sarebbe stato forse il più grande quartetto nonché la più grande composizione di ogni tempo. Ma forse è tutta l’opera beethoveniana ad essere la più grande composizione di sempre, dall’allegretto della settima al secondo movimento del quinto concerto per piano detto anche “dell’imperatore”, da quel capolavoro spesso citato solo in seconda battuta che è la Messa Solenne fino ai vertici pianistici della Patetica o dell’Appassionata o dell’Hammerklavier, dagli ultimi sublimi quartetti alle sinfonie che, almeno dalla terza alla nona, sono il punto più alto del corpo sinfonico mondiale. Narra la leggenda che Schubert si aggirasse per Vienna nel giorno del funerale di Beethoven, piangendo e urlando “è morta la musica” e invero aveva più di una ragione. La musica non è morta quel giorno e non morirà mai, ma oggi ricordando la nascita di Beethoven, 250 anni fa, il peso della storia è su di noi, e l’attualità perenne dell’arte assoluta del genio tedesco, rimane inarrivabile esempio e sconcertante presente.
One Comment on “BEETHOVEN 250”
Non capisco da dove estrai tutto ciò. Ma é il Marco Ghiotto che conosco io?
Quanto scrivi é avvincente, un giorno me lo dovrei spiegare in modo che possa capire anch’io.
Bacio,
e.